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L'Inchiesta 6/2002 | pagina 9

Mobbing di Stato
Nelle aziende statali e parastatali ticinesi il mobbing dilaga. Ma le autorità fanno di tutto per insabbiare i casi diventando complici del terrorismo psicologico

I casi di mobbing aumentano di anno in anno ma le autorità stanno a guardare. L'Inchiesta spiega come in Ticino il drammatico fenomeno dilaga nell'amministrazione pubblica, nell'ente ospedaliero, nella polizia, nella Rtsi, nell'Università e nella Banca dello Stato.

Da anni dirigeva con diligenza il reparto di fisioterapia di un ospedale. Molto stimata da medici e pazienti, due anni fa la donna si è impiccata sul posto di lavoro. Come indicato da alcuni testimoni, era proprio dove esercitava la sua professione che la donna veniva sottoposta a pressioni psicologiche insopportabili. Un fenomeno noto come "mobbing", il cosiddetto terrorismo piscologico sul posto di lavoro. Il suo scopo: togliere dai piedi, anche fisicamente e con il tacito consenso dei colleghi, i dipendenti fastidiosi.

Un atteggiamento che può avere effetti devastanti: nei casi più estremi le vittime si presentano sul lavoro armati o cercano di sistemare le cose con la forza.

È successo ad esempio nel 1986 quando l'ex capo della polizia zurighese Günther Tschanun ha sparato e ucciso quattro suoi colleghi ferendone gravemente un quinto. Testimoni avevano riferito che egli non sopportava più il clima di lavoro avvelenato all'interno del corpo.

Sopratttutto con gli attuali processi di riduzione del personale che causano un'accresciuta concorrenza tra i dipendenti, il mobbing trova terreno fertile.

Eppure il mobbing non rende né al dipendente né tantomeno al datore di lavoro. Con il passare del tempo, la vittima produce fino al 50% in meno.

Tutto ciò provoca costi enormi: si calcola che annualmente in Svizzera il mobbing costa circa 4,6 miliardi di franchi, soprattutto per il frequente astensionismo dal lavoro. A ciò vanno aggiunti gli ingenti costi della salute, con il ricorso puntuale a medici e farmaci.

Secondo stime internazionali, ogni singolo caso comporta costi diretti ed indiretti tra 30 e 100 mila franchi. Stando ad una recente ricerca, 12 milioni di lavoratori nell'Unione europea (Ue) sono vittime del mobbing, circa l'8% dei lavoratori attivi. Per questo in luglio l'Ue ha lanciato una campagna generale contro lo stress professionale che vieta il mobbing.

Un'inchiesta del segretariato di Stato dell'economia (Seco) fresca di realizzazione indica invece che in Svizzera fino al 7,6% della popolazione attiva, ovvero quasi 300 mila persone, sono vittime di questo abuso. Lo studio del Seco (vedi seco-admin.ch), è il primo vero studio sul mobbing realizzato in Svizzera e indica che in Europa il nostro paese è il più colpito dal fenomeno, stranieri in primis.

I dati dello studio suggeriscono che in Ticino le vittime di mobbing sono almeno 10 mila. «Non posso commentare questa cifra» dice all'Inchiesta Marilena Fontaine, consulente cantonale per la condizione femminile. «I- mobbing è molto diffuso ma nella maggiorparte dei casi non viene ancora segnalato. Per questo è difficile fare cifre».

Come dire: malgrado nell'opinione pubblica se ne parli già da almeno 20 anni, il tema continua ad essere circondato da una grande omertà.


Ambiente avvelenato

Un'omertà che fa comodo alle autorità ticinesi, che fino ad oggi hanno preso sottogamba il problema a cominciare dalla stessa amministrazione cantonale, principale datore di lavoro in Ticino.

«Tra i funzionari c'è un ambiente sempre più avvelenato con veri e propri clan che si ostacolano a vicenda» conferma all'Inchiesta un alto funzionario del dipartimento del territorio.

Proprio all'interno di uno degli uffici di questo dipartimento alcuni ex dipendenti, poi licenziati, hanno di recente denunciato il mobbing dilagante.

L'ufficio in questione è quello della caccia e della pesca, attualmente sotto inchiesta per chiarire il suo ruolo nella vicenda degli abusi commessi da alcuni guardiaccaccia (vedi L'Inchiesta settembre 2000). Un aspetto che l'inchiesta in dirittura d'arrivo dovrà chiarire è anche quello del mobbing. Mobbing che, in base a testimonianze raccolte dall'Inchiesta, questo ufficio sembrerebbe subire dalla direzione del dipartimento e che nello stesso tempo farebbe a sua volta subire ai dipendenti più scomodi.

Attualmente si calcola che sugli oltre 4'300 impiegati presso l'amministrazione cantonale, sono ben 150 le vittime di stress psicologico che non possono più proseguire la loro attività nello Stato.

Un caso clamoroso e recente riguarda la consigliera comunale leghista di Giubiasco Patrizia Ramsauer che all'inizio dello scorso anno aveva indetto uno sciopero della fame per protestare contro il trattamento ingiustificato riservatole dai suoi superiori presso l'amministrazione.

Dopo 16 anni passati a lavorare quale funzionaria dello Stato e pur disponendo dei requisiti necessari, invece di assumere la funzione del suo ex capo andato in pensione, la donna era stata relegata senza un valido motivo dopo che per 13 anni aveva lavorato con buoni risultati prima presso la segreteria dell'allora dipartimento dell'interno e poi presso l'ufficio votazioni.

Con il pensionamento del suo capoufficio, è stata dapprima trasferita alla centrale operativa della polizia stradale e poi all'Ufficio federale del registro fondiario a Torricella.

«Per ragioni di sicurezza, non mi davano nemmeno la chiave dell'ufficio, manco fossi una delinquente» afferma la donna. «Mi facevano fare fotocopie tutto il giorno e mi trattavano come una deficiente. È stato un trasferimento forzato e ingiustificato che, sommato a tutto quanto subito in precedenza, mi ha fatto cadere in depressione».

Dal novembre 1998 al febbraio 2001 Patrizia Ramsauer partecipa a 42 concorsi interni ma tutti con esito negativo.

«Il certificato medico parlava chiaro: fin dal dicembre 1999, ero abile al lavoro ma non nei posti che mi erano stati assegnati» dice Ramsauer. «Invece si è preferito lasciarmi a casa in malattia per ridurmi lo stipendio, sperando di potermi liquidare e speculando sul fatto che presto o tardi avrei chiesto l'invalidità».

Così, per far capire che non era matta come le si voleva far credere, all'inizio del 2001 la donna mette in atto uno sciopero della fame. Solo dopo questo gesto estremo viene trasferita all'ufficio gestione governo elettronico, con lo stesso stipendio di 10 anni prima.

Inoltre il suo attuale superiore ogni 6 mesi deve redigere un rapporto su di lei. Se questo dovesse risultare negativo, Patrizia Ramsauer potrebbe venir messa alla porta. Come dire: il mobbing continua incessante. «Il caso è stato messo a tacere con il mio trasferimento in quest'ufficio, ma mai nessuno -cancelliere, consiglieri di Stato, e superiori diversi- ha risposto alla mia domanda, che ancora oggi, spesso, mi tartassa la mente: cosa ho fatto per meritare tutto questo? Se avevo lavorato male per 16 anni, perché hanno atteso tutto quel tempo per togliermi di mezzo?» si chiede oggi la donna.

Una risposta alle sue domane c'è: stranamente infatti il terrorismo psicologico contro di lei inizia quando si mette in lista per la Lega dei Ticinesi. Una tesi smentita con veemenza dalle autorità.

Nella sua vicenda Ramsauer viene lasciata completamente sola sia dai compagni del movimento di Giuliano Bignasca, sia dai sindacati, sia dagli innumerevoli addetti ai lavori. «La specificità dell'amministrazione cantonale è che i quadri intermedi hanno quasi sempre l'ultima parola e il subordinato è in balia di questa situazione» spiega all'Inchiesta lo psicoterapeuta Nicola Ferroni che ha avuto in cura diverse vittime di mobbing.

In base alle esperienze professionali acquisite, Ferroni conferma come all'interno dello Stato non esistono istanze che combattono efficacemente il mobbing.

«Anche perché in pratica un capoufficio non viene mai messo sotto inchiesta per aver esercitato pressioni psicologiche su un dipendente. Solo l'introduzione di una sorta di Ombudsman all'interno dello Stato potrebbe migliorare la situazione».

Ma anche in altre aziende parastatali ticinesi la situazione è simile. Ecco qualche esempio:

- Ente ospedaliero cantonale (Eoc). A causa dei continui tagli di posti di lavoro, i dipendenti dell'Eoc denunciano trattamenti sempre più disumani e ingiusti (vedi L'Inchiesta settembre 2000).

Un'infermiera dell'ospedale Civico a Lugano (nome noto all'Inchiesta), aveva denunciato la situazione di mobbing e stress in cui vivevano lei e le sue colleghe del reparto di radiologia. Anche la stampa aveva ampiamente riferito del malcontento, sfociato all'inizio del 2001 con il clamoroso caso di un'amputazione errata della gamba a un paziente 80enne, poi deceduto.

In base a informazioni raccolte dall'Inchiesta, due anni dopo la situazione non è cambiata di molto.

«Non abbiamo riscontrato casi che rientrano nella definizione di mobbing ma solo qualche comportamento maldestro legato allo stile di comunicazione» ha constatato l'anno scorso la ditta esterna Care On incaricata dall'autorità di allestire un rapporto sul Civico dopo quanto accaduto. Ma parallelamente nel rapporto si è ammesso che «il clima attuale è teso e che il personale risente di una certa fatica morale».

- Polizia cantonale. Un anno e mezzo fa, L'Inchiesta aveva portato alla luce l'ambiente avvelenato all'interno del corpo (vedi L'Inchiesta maggio 2001), dove molti agenti non protetti dall'alto subiscono quotidianamente il terrorismo psicologico dei superiori.

Anche per questi motivi 4 anni fa l'ex commissario della polizia scientifica Adriano Gaia è stato costretto ad andare in pensione anticipatamente dopo che i suoi nervi sono crollati.

Gaia aveva denunciato che il motivo del peggioramento progressivo del suo stato di salute era da attribuire all'ambiente malsano della polizia, dove solo chi gode di protezioni politiche può fare carriera.

«Nella mia professione ho sempre dato il massimo e più volte il mio lavoro ha avuto il sopravvento sulla famiglia» aveva scritto Gaia in una lettera al comandante Romano Piazzini quando fu costretto a gettare la spugna. «Ho cercato in tutti i modi di resistere facendo capo a medicamenti che affievolivano le mie ansie ma che non risolvevano il problema alla radice. Per staccarmi da certe situazioni divenute insopportabili, è mancata una persona con le dovute capacità a cui potermi rivolgere nei momenti più bui e tristi».

Nella sua risposta Piazzini, definendo la lettera dell'ex commissario una «splendida testimonianza», ha promesso la creazione di un'istanza di sostegno psicologico analoga a quelle già esistenti in altri cantoni.

Fino ad oggi però, dette buone intenzioni si sono concretizzate soltanto con la creazione, nel 1999, di un cosiddetto gruppo «debriefing» composto da 12 agenti «sensibili alla problematica» pronti a discutere dei problemi psicologici con i loro colleghi.

Ma i risultati tangibili ottenuti finora dal nucleo lasciano a desiderare, visto che in polizia i casi di agenti ricoverati anche per disturbi nervosi aumentano di anno in anno.

«È una soluzione poco credibile perché può capitare che proprio coloro che si sono resi complici di una situazione di mobbing fungano da arbitri» dice all'Inchiesta un ex agente. «In polizia c'è un malessere gestionale che nasce dalla lottizzazione nel corpo, che impedisce ai più bravi di fare carriera. In questi casi il mobbing diventa l'arma migliore per tagliarli fuori. Non si spiega altrimenti come mai le molte "mele marce" abbiano sempre delle ottime qualifiche mentre gli agenti in gamba risultano solo discreti».

- Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (Rtsi).

Dopo l'indagine svolta dall'Inchiesta un anno fa (vedi L'Inchiesta settembre 2001), il sindacato svizzero dei mass media (Ssm) si è rivolto al segretariato di Stato dell'economia per denunciare «le numerose violazioni della legge sul lavoro nelle unità aziendali di Srg Ssr idée suisse».

In particolare l'Ssm ha criticato il peggioramento della politica del personale nell'azienda constatando un numero crescente di casi dove il datore di lavoro viola il suo dovere di lealtà nei confronti del personale ad esempio «spingendo in modo sbrigativo i collaboratori che hanno problemi di salute verso l'invalidità, mettendo in disparte e spingendo fuori dall'azienda coloro che non sarebbero in grado di adeguarsi ai cambiamenti tecnologici ed esercitando sul personale una pressione che assume sempre più le caratteristiche del mobbing».


Le pressioni alla Rtsi

Alla Rtsi una vittima illustre del mobbing è il noto e quotato giornalista radiofonico Sidney Rotalinti. Fino al 1995 lavora a una serie di inchieste "politicamente scomode" che mettono in cattiva luce importanti banche e istituti finanziari ticinesi coinvolti in operazioni di riciclaggio di denaro sporco.

Nel 1991, all'indomani del caso Fimo, personaggi del calibro di Gianfranco Cotti fanno pressione sui fragili vertici dell'azienda per "fargliela piantare". Varie indagini conducono anche in direzione della Banca del Gottardo presieduta da Claudio Generali, timoniere della Corsi. Rotalinti viene trasferito contro la sua volontà da Bellinzona a Lugano.

Chiede in cambio la creazione di un'unità di cronaca giudiziaria alla Rtsi. Ma ovviamente non se ne fa nulla.

Quello che i vertici dell'azienda gli «vendono» come una promozione in realtà si rivela una censura professionale.

A Lugano nuovi colleghi "più addomesticabili" cominciano ad occuparsi di giudiziaria. Rotalinti viene posteggiato nel settore animazione. Diventa il conduttore della "squadra esterna".

Due anni fa, al rientro dalle vacanze, gli propongono la rubrica dei motori. Vero? Rotalinti non conferma, ma sorride. «A dir la verità non so nemmeno dove sia esattamente il motore della mia auto...» dice all'Inchiesta.

Quando appare il libro "Comment j'ai infiltré les cartels de la drogue" dell'ex commissario di polizia Fausto Cattaneo, Rotalinti comunica la notizia ai suoi colleghi attraverso la sua home page personale fresca di produzione. Malgrado le richieste degli ascoltatori, al giornalista verrà proibito di occuparsi nuovamente della vicenda.

La direzione non può impedire a Rotalinti di utilizzare internet, ma da allora il suo direttore Edy Salmina continuerà a fare pressione cercando di far chiudere il sito perché nuocerebbe agli interessi della Rtsi a livello di immagine di credibilità e affidabilità dei dipendenti del servizio pubblico.

Da allora il linciaggio psicologico del giornalista è costante e progressivo, caratterizzato da improvvise convocazioni durante le vacanze, relegazioni professionali e progetti cestinati d'ufficio.

Finché, a causa dell'incessante mobbing subìto, in giugno Rotalinti si è gravemente ammalato.

«Oggi ho prove -inconfutabili- di magouilles ai miei danni avvenute fuori dalle mura dell'azienda, che mi hanno stroncato la carriera e la salute» dice all'Inchiesta.

- Università della Svizzera italiana (Usi). Un'ex collaboratrice della biblioteca dell'Accademia di architettura (nome noto all'Inchiesta) ha ad esempio denunciato di aver subìto il terrorismo psicologico dei responsabili dell'ateneo finché è stata costretta a far le valigie.

Nel 1996 la donna era stata assunta come organizzatrice della diateca, inizialmente nel quadro di un programma occupazionale, poi a tutti gli effetti. Vista l'ottima valutazione del lavoro svolto, la signora chiede un aumento di stipendio, ma invano. Decide quindi di rivolgersi al sindacato dei servizi pubblici (Vpod), che però fa orecchie da mercante.

«Da allora sono stata sottoposta a continue sottili pressioni psicologiche dalla direzione dell'Usi» dice all'Inchiesta. «Sono stata invitata a guardarmi in giro per trovarmi una nuova occupazione, ma nel contempo mi è stato fatto capire che non avevo sbocchi. Ho cercato in tutti i modi di non farmi calpestare».

Ma 3 anni fa la signora è stata costretta a gettare la spugna ed è stata licenziata. Motivo: il suo presunto atteggiamento polemico nei confronti della direzione e il rapporto negativo con i colleghi.

«L'immagine che si vuol dare di me è completamente falsa» aveva replicato la signora in un' e-mail inviata ad Aurelio Galfetti. «Non ho mai avuto scontri con nessun collega. Anzi: ho talvolta sorvolato con grande fair-play su umiliazioni, preferendo piangere per conto mio piuttosto che ribattere».

Alla fine l'Usi ha preferito non sviluppare ulteriormente il valido servizio della diateca per il quale l'Accademia ha acquistato dall'Istituto universitario di Venezia ben 75 mila diapositive invece che retribuire dignitosamente una dipendente.

«Come altre mie colleghe, ho subito l'incessante mobbing dei miei superiori e di certi colleghi, perché non godevo di protezioni dall'alto. In ogni caso, oggi sono contenta di essere partita da quell'inferno che per tante persone ha comportato solo umiliazioni e frustrazioni» afferma l'ex collaboratrice che oggi lavora con piena soddisfazione dei suoi superiori per un museo e un archivio in campo artistico.

- Banca dello Stato. Il settore bancario ticinese è in piena crisi: ciò non fa che rafforzare la pressione sui dipendenti, che sempre più frequentemente devono far capo a medici e psichiatri. Ancora una volta, fra le aziende più colpite, figura quella cantonale.

«Negli ultimi mesi ho ricevuto segnalazioni di mobbing da dipendenti di questo istituto che fino a pochi anni fa era considerato un datore di lavoro modello» rivela all'Inchiesta Eros Pastore, presidente della regione ticinese dell'associazione svizzera degli impiegati di banca (Asib) nonché gran consigliere.

Molti hanno dovuto richiedere cure da specialisti ed essere ricoverati in cliniche e ospedali.

«Si tratta di testimonianze che non a caso ancora una volta giungono in un momento di ristrutturazione completa della banca. Come può un caposervizio in funzione da 2-3 mesi dare pesanti giudizi su collaboratori presenti da 10 anni?» si chiede Pastore che in qualità di presidente dei bancari in 3 anni ha già raccolto un centinaio di testimonianze di mobbing.

Sempre però un pietoso silenzio ha mascherato il tutto. In alcuni casi Pastore ha anche ricevuto segnalazioni di persone esasperate in procinto di prendere il fucile e sparare a superiore e colleghi.

«Due persone le ho fermate comunicando la situazione alle autorità competenti» rende noto Pastore. «So di banche ticinesi che hanno costretto un dipendente a cambiare scrivania 2-3 volte in un solo giorno. Il fatto grave è che, con la complicità dei nostri giornali, le vicende vengono regolarmente insabbiate».

Per cercare di contrastare questi abusi, Pastore s'incontra direttamente con i vertici della banca. Un lavoro che però porta raramente i frutti sperati. «I direttori cercano sempre di minimizzare. Oppure, peggio ancora, smentiscono tutto» conferma Pastore che, anche in qualità di membro della direttiva svizzera dell'Asib, da anni chiede invano una campagna di prevenzione a livello federale.

«L'autorità, a causa della sua assenza e latitanza, diventa complice di questo fenomeno tollerandone l'espansione» dice all'Inchiesta il gran consigliere Silvano Bergonzoli, che l'anno scorso, assieme a una decina di suoi colleghi, ha interrogato il Governo sulla questione.

«Non tolleriamo il mobbing» ha replicato il Consiglio di Stato nella sua superficiale risposta al deputato leghista. Rifacendosi all'avamprogetto di modifica della legge sull'ordinamento degli impiegati statali (Lord), la cui consultazione è appena terminata, il Governo ha spiegato che con essa si prevede d'introdurre una nuova norma sulla protezione della sfera personale secondo la quale «i dipendenti hanno diritto al rispetto della loro dignità e della loro integrità fisica e morale.

Le molestie sessuali e psicologiche sul posto di lavoro sono vietate».

Ma da più parti la sensazione è che anche introducendo questo nuovo articolo di legge la situazione non cambi.

«È una norma che non serve a niente se poi dal profilo pratico non c'è nessuno strumento per intervenire» dice all'Inchiesta Stefano Malpangotti, segretario cantonale dei sindacati indipendenti ticinesi. «Alla fine siamo alle solite: chi denuncia rischia di essere isolato e il suo caso viene insabbiato».


Studi poco efficaci

Intanto anche il gruppo d'accompagnamento istituito l'anno scorso dal Governo per combattere il fenomeno non ha concluso granché.

Cappeggiato da Marilena Fontaine, in giugno il gruppo ha allestito un rapporto intitolato «Prevenzione e intervento in materia di molestie psicologiche e sessuali sul posto di lavoro» con il quale auspica l'introduzione dell'articolo di legge citato.

Da 5 mesi il documento è in fase di consultazione tra i sindacati e giace in Consiglio di Stato.

Concretamente le proposte nuove elencate, volte a combattere il fenomeno sono scarse. Si parla soltanto della creazione sperimentale di un cosiddetto gruppo di ascolto in seno all'amministrazione cantonale, modello peraltro imitato da altri cantoni.

«Il gruppo ha la missione di ascoltare, trattare i conflitti e cercare di risolverli attraverso la conciliazione» si legge nel documento. Nel caso in cui la conciliazione tra le parti fallisse, verrebbe consegnato un rapporto ai vertici dell'amministrazione cantonale che decideranno quali provvedimenti adottare e se del caso aprire un'inchiesta amministrativa.

«In pratica è come se in quel rapporto non ci fosse scritto nulla» dice all'Inchiesta Graziano Pestoni, presidente del Vpod. «Sulla scaletta delle priorità del Governo il mobbing figura in ultima posizione e questo malgrado il fatto che il clima di lavoro nell'amministrazione cantonale peggiora di anno in anno. Sempre più spesso il mobbing diventa uno strumento tacitamente utilizzato per sbarazzarsi dei colleghi scomodi. Ma lo Stato chiude gli occhi».

Eppure a livello svizzero la creazione di questi centri di accoglienza e di aiuto non ha dato i frutti sperati.

«Qualche anno fa la Confederazione ha creato un centro di consultazione di fiducia, ma pochissime persone lo sfruttano» dice all'Inchiesta Heinz Hofmann, presidente della centrale svizzera del mobbing. «Ciò non mi stupisce affatto: visto che è la stessa amministrazione a gestirlo, v'è da chiedersi quale possa essere la sua reale indipendenza».

Da tre anni esiste invece in Ticino un gruppo denominato "Amici delle vittime del mobbing", la cui coordinazione è affidata a Dante Davide Scolari.

Finora il gruppo, che riunisce oltre una ventina di aderenti, si è occupato di pochi casi ma non esclude di poter prossimamente ampliare la propria sfera d'intervento in modo ufficiale e sulla base di statuti ben definiti.

«Il nostro gruppo è sorto con un intento pragmatico, visto che alle vittime del mobbing non interessano tanto le disquisizioni teoriche ma l'aiuto concreto» spiega Scolari all'Inchiesta.

«Il mobbing non è soltanto una deviazione psicologica di una persona che si accanisce contro un'altra in un determinato ambiente, ma è spesso pure una violenza che si alimenta di atteggiamenti collettivi di complicità, tolleranza e omertà e che coinvolge anche colleghi e subalterni di intere strutture.

Quando il mobbing viene esercitato da un alto funzionario di un'amministrazione pubblica che gode di importanti sostegni a livello politico, oppure da un manager con notevoli capacità finanziarie, è difficile che l'autorità intervenga in modo deciso a favore della vittima.

Non di rado, succede invece che per una logica di immagine interna e per una sorta di convenienza si preferisce rinunciare a difenderla: ciò che è profondamente ingiusto e andrebbe denunciato».



Legislazione carente

A differenza di altri paesi, in Svizzera il mobbing non è ancora perseguibile penalmente.

In Svizzera la legislazione volta a combattere il fenomeno del mobbing fa acqua. Due anni fa il deputato in Consiglio Nazionale Josef Zisyadis aveva depositato un'iniziativa parlamentare, poi bocciata, volta a lottare contro le molestie morali sul posto di lavoro chiedendo una legislazione specifica sul mobbing. In particolare Zisyadis non riteneva sufficiente l'articolo 6 della legge federale sul lavoro nonché gli articoli 321 e 328 del codice delle obbligazioni secondo cui «il datore di lavoro deve rispettare e proteggere la personalità del dipendente, avere il dovuto riguardo per la sua salute e vigilare alla salvaguardia della moralità».

Ma proprio in base a questi articoli l'anno scorso il Tribunale federale aveva dato ragione a un'infermiera licenziata abusivamente che subiva le angherie psicologiche della sua superiore. Il suo datore di lavoro è stato costretto a pagarle un risarcimento di 20 mila franchi. In risposta all'affossamento dell'iniziativa Zisyadis, lo scorso 21 marzo la deputata Anita Thanei ha depositato un'iniziativa analoga con la quale chiede di modificare le disposizioni sul contratto di lavoro che figurano nel codice delle obbligazioni per proteggere i lavoratori dal mobbing.

In altri paesi il mobbing è invece già perseguibile penalmente. Ad esempio in Svezia, dove si calcola che il 10-20% dei suicidi sia riconducibile al mobbing. In Francia il mobbing è un atto criminale ed è punito con un anno di prigione. In gennaio sono anche stati introdotti 5 articoli di legge contro il mobbing, l'ultimo dei quali prevede che spetta a chi è presunto autore di mobbing provare il contrario.



Conflitto insanabile alla base

In ufficio la cattiva gestione di un conflitto può avere conseguenze estreme. Ecco cosa è, come si esprime e come si sviluppa il mobbing.

Quando una persona subisce sistematicamente atteggiamenti ostili, lesivi ed ingiustificati da una o più persone è vittima di mobbing. Si tratta di una strategia subdola per eliminare il dipendente fastidioso i cui colleghi diventano spesso complici del maltrattamento giudicando poco gravi o insignificanti fatti ai quali hanno assistito.

Anche se il mobbing viene praticato in maniera perversa e sadica da chi ha il potere, le azioni non sono apertamente violente: bastano atti banali come non salutare qualcuno, interromperlo, non tener conto di quello che dice o terminare bruscamente una conversazione. Oppure si è esclusi dal circuito delle notizie utili e delle riunioni, si ricevono incarichi inferiori alle proprie capacità, si viene aggrediti da improvvisi silenzi, si è al centro di pettegolezzi infondati, rimproveri eccessivi o controlli assurdi.

Alla lunga gli effetti sull'equilibrio psicofisico della persona colpita sono devastanti. Si va da sintomi fisici (come dolori allo stomaco, cattiva digestione, cefalee, ipertensione, insonnia) a sintomi psichici quali ansia, depressione, tensioni, rabbia, aggressività fino allo sviluppo di una vera e propria fobia del posto di lavoro. Una specie di "invalidità psicologica" che può portare ad atti estremi come il suicidio o l'omicidio.

Vittime predestinate sono spesso «quelli bravi sul lavoro» che non sottostanno alle leggi dittattoriali del capo, perché ritengono le loro capacità professionali superiori.

Secondo lo studioso tedesco Heinz Leymann, pioniere dell'analisi della violenza psicologica sul lavoro, il mobbing si suddivide in 5 fasi.

- Cattiva gestione del conflitto. Un episodio conflittuale mal gestito può avere risvolti negativi sul posto di lavoro, avvelenando l'ambiente che, anche tra colleghi, si fa più acceso e aggressivo. Nessuno interviene.

- Atteggiamenti scontrosi. Osservazioni dure e ostili nei confronti di una persona o un gruppo. Si sviluppa uno squilibrio all'interno dell'azienda.

- Presa del potere. Nessuno vuole più lavorare con la persona mobbata, che non viene più rispettata né accettata che diventa insicura, fa errori e si fa notare per questo. Il suo stato d'animo negativo giustifica altri atti di emarginazione.

Il regolare svolgimento del lavoro viene intralciato, finché il mobbato di turno, al quale viene indirettamente proposto di licenziarsi, è considerato "un peso".

- Diagnosi psicologiche e mediche errate. I medici conoscono solo marginalmente l'ambiente di lavoro da cui proviene la vittima e spesso non capiscono come una persona possa ammalarsi sul lavoro. La conseguenza: diagnosi errate come "neurosi infantile", "depressione stagionale" e simili.

- Esclusione dal mondo del lavoro.



Ecco chi è il capo tiranno

Il «mobber» può essere un capo dispotico, intrattabile e ottuso. Le sua arma principale è l'abuso di potere. Ecco le sue caratteristiche.

- Scarsa stima di sè. Il superiore si sente inadatto al proprio ruolo e cerca di coprire questa insicurezza rendendo la vita impossibile agli altri.

- Scarse capacità comunicative. Della serie: «non sono io che non mi so spiegare, sei tu che non capisci». Oltre a ciò è offensivo e fa continuamente gaffes.

- Scarsa abilità nelle relazioni personali. Incapacità di gestire rapporti umani sul lavoro e fuori.

- Mentalità vendicativa e portata alle rappresaglie. Suscettibilità, ostilità, si atteggia a persona temuta e rispettata da tutti.

- Inefficienza lavorativa. La sua professionalità è superata o inadeguata, la sua unità non rende.



Licenziamenti a raffica

Anche questo è mobbing: delle brave ausiliarie dell'asilo vengono lasciate a casa da un giorno all'altro senza alcun motivo. Immediatamente dopo si riassumono altre persone per gli stessi posti. È quanto accaduto recentemente a Locarno.

Avevano sempre lavorato con piena soddisfazione dei loro superiori. Ma da un giorno all'altro si è deciso di lasciarle a casa. Il motivo: il loro posto doveva essere occupato da qualcun altro, verosimilmente raccomandato.

È quanto capitato quest'anno ad alcune ausiliarie della scuola dell'infanzia di Locarno.

«Dalla riunione del personale avvenuta alla fine del 2001 è risultato che non ci sarebbero stati licenziamenti» rivela all'Inchiesta Dominique Galli, una delle ausiliarie vittime dell'abuso.

Ma il 23 gennaio 2002 ecco la brutta notizia: la donna, assieme ad altre tre colleghe, viene licenziata di punto in bianco. Oltrettutto mentre è assente per infortunio professionale. Il motivo: ristrutturazione dell'asilo.

Ma poi, incredibile ma vero, ecco che 6 mesi dopo all'albo comunale vengono affissi due concorsi, con scadenza 18 settembre 2002, per le identiche mansioni per cui le donne erano state licenziate.

Eppure a suo tempo dei ricorsi contro la decisione di smantellare i servizi previsti erano stati respinti. «Sono convinta che si tratta di concorsi fittizzi» sostiene Dominque Galli. «Tutto è stato montato ad arte per piazzare persone raccomandate e liquidare noi».



«Un cadavere che cammina»

Ecco la drammatica testimonianza di una lettrice dell'Inchiesta, rimasta vittima di mobbing in un Foyer Pro Juventute.

«Ho appena 41 anni ma professionalmente sono praticamente morta. Per il mobbing subito per 18 mesi dopo 12 anni di lavoro giorno dopo giorno, oggi non sono più in grado di lavorare e sull'orlo dell'invalidità. Non ho più la forza di fare l'aspirapolvere, cucinare, fare la spesa, lavarmi i capelli e i denti. Faccio 3 giorni in piedi e 3 a letto.

Il lavoro non mi aveva mai fatto paura: andavo avanti a 57 ore alla settimana. Ma non sono una leccapiedi, altrimenti il mobbing non l'avrei subito. Ho sempre cercato di essere onesta e trasparente senza tener sotto la cintura nessuno. Ma improvvisamente le porte mi si sono chiuse davanti. Non mi davano più le informazioni e non riuscivo più a lavorare. Stavo per laurearmi e perciò presumo che qualcuno abbia avuto paura che gli soffiassi il posto.

Ero rimasta completamente sola: chi voleva aiutarmi veniva minacciato dello stesso trattamento. A un certo punto non ce l'ho più fatta e ho dovuto stare a casa un anno malata. I sintomi erano: polmonite atipica e mal di schiena. Finché non ho più avuto energie per combattere. Tutto ciò mi ha causato un danno biologico irreparabile. Sono 4 anni che tutti i giorni mi dispero e piango.

Sono convinta che il mobbing è un atto criminale, solo che il cadavere non c'è perché cammina. Una specie di cancro sotterraneo. I medici chiudono gli occhi ma allungano il portafoglio: per cercare di curarmi ho speso circa 25 mila franchi. Ho avuto un colloquio con una quarantina di medici ma nessuno ha saputo aiutarmi. Conoscono bene i sintomi ma stanno zitti. Per non parlare degli avvocati. Uno mi ha detto: "non vorrà mica essere il primo caso di mobbing in Ticino..." e un altro: "se lei fosse mia sorella le direi di lasciar perdere". Per 3 anni sono stata sbattuta di qua e di là come una pallina da ping pong. Ognuno mi proponeva di andare da qualcun altro. Tutti se ne lavavano le mani. Non ho avuto un briciolo di giustizia. Anche i sindacati mi hanno mollata. Un medico un giorno mi ha detto: "ci vorranno 20 anni prima che in Ticino si parli di mobbing". E intanto le istituzioni fanno il doppio gioco: promuovono gruppi di riflessione ma non intervengono. E mentre loro riflettono, la gente muore».



Indirizzi utili


IN SVIZZERA
- Centrale svizzera del mobbing. C. p. 438, 3065 Bolligen. 031 921 11 09.www.mobbing-zentrale.ch

- GpSM Svizzera. Associazione contro lo stress ps

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