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L'Inchiesta 6/2003 | pagina 24

Il sacerdote di Calvi
A Londra si indaga sui misteriosi retroscena della morte di Helios Jermini

Il fiduciario Helios Jermini (trovato annegato nel Lago di Lugano) era un collaboratore segreto del banchiere Roberto Calvi (trovato impiccato a un ponte di Londra). È quanto sarebbe confermato da un'inchiesta aperta in Gran Bretagna dopo la pubblicazione su L'Inchiesta di documenti scottanti. C'è il sospetto concreto che Jermini sia stato assassinato per un colossale giro di milioni. Ma in Ticino gli inquirenti non hanno dato peso a simili dettagli.

di Paolo Fusi

La magistratura ticinese ha ignorato l'evidenza per oltre un anno e mezzo. Ma dopo l'apertura delle inchieste romane sulla morte del banchiere Roberto Calvi e su quella del fiduciario ticinese Helios Jermini, ora anche la polizia londinese ha aperto un dossier - collegando le due vicende ed iniziando a verificare documenti che "L'Inchiesta" aveva già pubblicato nel luglio 2002.

Lentamente si fa strada una parte finora nascosta della verità: Helios Jermini, fino alla sua tragica morte, il 5 marzo 2002, ha lavorato segretamente per Roberto Calvi e per la "sua" Banca del Gottardo, amministrandone una parte ingente delle società segrete. Come un sacerdote, ha atteso per decenni che arrivasse il legittimo proprietario a liquidare alcune gravose vecchie pendenze. Un'attesa inutile e tragica, siglata da due fax, entrambi nelle mani de "L'Inchiesta", che aprono inquietanti interrogativi sulle ultime ore del fiduciario ticinese ma soprattutto sul ruolo che la magistratura svolge in Ticino.

Per anni il caso della morte di Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, l'istituto che ha fondato e controllato per oltre un quarto di secolo la Banca del Gottardo, sembrava dovesse restare irrisolto. Il banchiere era stato trovato impiccato sotto il Blackfriar's Bridge (Il Ponte dei Frati Neri) a Londra il 17 luglio del 1982. Per vent'anni la versione ufficiale di quella morte è stata: suicidio. Calvi, la cui banca aveva un buco di due miliardi e mezzo di franchi, era inseguito da un mandato internazionale d'arresto. Secondo la versione di allora si sarebbe ucciso per disperazione.

Ma la moglie ed i figli, trasferitisi in Canada dopo la tragedia, non hanno mai smesso di lottare. In un'intervista pubblicata dall'Evening Standard di Londra l'8 ottobre Carlo Calvi, il figlio del banchiere, racconta di come il patrimonio di famiglia sia stato prosciugato alla ricerca di prove che costringessero la magistratura a riaprire il caso. Nel 2002, grazie ai progressi della medicina legale, la famiglia Calvi ha potuto dimostrare inoppugnabilmente che Roberto Calvi fosse stato ammazzato in un cantiere, poi trasportato già morto fino al ponte ed infine impiccato. Nella primavera del 2002, dopo che Jermini, almeno secondo la versione della magistratura ticinese «si è suicidato», la magistratura di Roma accetta le nuove prove sulla morte del banchiere, apre un'inchiesta penale per omicidio ed una parallela sulla morte di Jermini.

Per l'omicidio Calvi, la procura della Repubblica sospetta quattro persone: in primo luogo il mafioso Pippo Calò, che avrebbe dato ad un subordinato che viveva a Londra, tale Francesco Di Carlo, l'ordine di procedere all'assassinio. Calò sta scontando l'ergastolo per reati di mafia, Di Carlo ha preso vent'anni di prigione in Inghilterra per spaccio di stupefacenti ed altri reati connessi. Il sovrintendente Trevor Smith, che in qualità di "detective chief" (commissario capo) conduce l'indagine, l'ha già interrogato. Di Carlo sosterrebbe di essere solo stato il tramite tra chi pagava e chi eseguiva. Ad eseguire sarebbe stata la Banda della Magliana, un gruppo di delinquenti romani associato alla massoneria ed alla mafia. A pagare sarebbe stato il banchiere svizzero Jürg Heer, un ex dirigente della Rothschild Bank, accusato di aver truffato la propria banca in un'operazione rischiosa compiuta insieme all'avvocato ticinese Marco Gambazzi. Dopo l'incriminazione Heer si è dato alla macchia e si è ammalato di Aids a Bangkok, dove è stato rintracciato ad acciuffato dalla polizia svizzera.


«Ho pagato i killer»

L'affermazione del Di Carlo conferma quanto Heer aveva già detto al giudice distrettuale del canton Zurigo René Ramer e poi alla stampa: «Pagai i killer di Calvi in nome e per conto di qualcuno spedito da Roma e di cui sono pronto a fare il nome». Ramer quel nome lo sapeva e chiese di aprire un'inchiesta. Non gli venne permesso. Ramer è morto il 10 gennaio 2001 in circostanze mai chiarite. Ufficialmente suicidio. Heer è morto in un ospedale zurighese il 1° marzo dello stesso anno. Ora quel nome lo sa solo Di Carlo.

Ma i mafiosi non sono gli obiettivi principali di Trevor Smith e della magistratura romana. Questi si indirizzano piuttosto alla ricerca dei mandanti di Pippo Calò e Jürg Heer - e danno la caccia al faccendiere sardo Flavio Carboni, ad un suo avvocato ed una sua ex fidanzata. Carboni, uno dei dirigenti della Loggia Massonica P2 diretta da Licio Gelli, si rifiuta di commentare le accuse. Carlo Calvi invece non vede l'ora che parli: «Se mio padre avesse parlato con i magistrati che conducevano le indagini sul crac del Banco Ambrosiano, lo scandalo avrebbe travolto il Vaticano. Mio padre avrebbe raccontato degli affari illegali fatti in Sudamerica, di come la banca della Santa Sede, lo IOR Istituto per le Opere Religiose, corrompeva politici per coprire i propri delitti e quelli della P2».

Una tesi cui credono sia i magistrati italiani che quelli inglesi. Carboni infatti era il tramite tra la P2 ed il cardinale Paul Marcinkus, braccio destro di Papa Paolo VI e presidente dello IOR. Che lo IOR avesse compiuto delle azioni illegali insieme alla P2 nella Banca Privata Italiana del mafioso Michele Sindona e nel Banco Ambrosiano e nella Banca del Gottardo di Roberto Calvi, è oggi storia nota a tutti. I magistrati italiani tentarono ripetutamente negli anni '80 di far arrestare o almeno interrogare Marcinkus - ma Giovanni Paolo II, che pure l'aveva immediatamente messo da parte, l'ha protetto fino all'ultimo con l'immunità diplomatica.

Giovanni Paolo II, fin dall'inizio del suo pontificato riorganizzò l'intero sistema finanziario della Santa Sede, affidando lo IOR e gli affari più scottanti ai suoi fedeli amici dell'Opus Dei, una sorta di massoneria vaticana potente in tutto il mondo - e già coinvolta nella vicenda dell'Ambrosiano, tant'è che l'avvocato zurighese Peter Duft, per anni capo dell'Opus Dei in Svizzera, il 23 luglio 1997 venne condannato a Milano in primo grado a sette anni di prigione per il suo ruolo nel crac della banca di Calvi.

Ma che c'entra Helios Jermini? Presto detto. Questi aveva iniziato a lavorare alla Banca del Gottardo negli anni '60. Poi, quando Roberto Calvi mise su il suo complicatissimo sistema off-shore (società di facciata sparse nelle isolette di tutto il mondo solo per creare fatture per transazioni fittizie e giustificare così lo spostamento di enormi somme di denaro), Jermini finì in una società fiduciaria collegata alla banca, la Gisafid SA di Lorenzo Gilardoni.

Questa fiduciaria è stata impegnata, in collegamento con la Banca del Gottardo ed i suoi dirigenti Walter Canepa (sì, quello che sparò a Claudio Generali...), Fernando Garzoni e Francesco Bolgiani (sì, quello che insieme all'allora presidente del FC Lugano Francesco Manzoni ha comprato la filiale di Montecarlo della Banca del Gottardo e si è messo in proprio...), per compiere una delle operazioni più complesse, delicate e segrete: nascondere il fatto che il Vaticano avesse usato la sua holding immobiliare mondiale per degli affari illeciti, per giunta in combutta con la mafia e con la Loggia Massonica P2.

Questa holding immobiliare, la SGI, nel 1968 dovette essere venduta. Lo Stato italiano aveva deciso di toglierle le esenzioni fiscali. Sicché lo IOR, che controllava la SGI, decise di usare dapprima il banchiere siciliano Michele Sindona e poi Roberto Calvi e la Banca del Gottardo per trasferire la proprietà dell'immenso patrimonio a delle società bucalettera.

Il ruolo di Jermini diventa fondamentale. Il perno della nascente struttura segreta diventa una società di cui Helios è stato presidente fino alla morte: la Sogefinance SA Panama - la madre di tutte le società bucalettera. Quando il procuratore pubblico di Lugano Emanuele Stauffer ha condotto l'inchiesta sul crac delle società di Jermini e sui suoi finanziamenti occulti al FC Lugano, ha scoperto questa società panamense. L'indagine è finita lì. Jermini di società legate a questa struttura ne ha gestite segretamente a decine. Società intestate alle persone più disparate, che a loro volta fungevano da copertura per lo IOR.

Questo fino al 1988, quando Giovanni Paolo II decide di passare il controllo dell'intera struttura nelle mani dell'Opus Dei. L'uomo scelto per il gravoso compito di "cliente segreto" della struttura amministrata da Helios Jermini è Xavier Echevarria, l'uomo che nell'Opus Dei è il referente per i rapporti con la Fratellanza Islamica. Nel 1994, quando il Vicario Generale (il capo mondiale) dell'Opus Dei Alvaro Del Portillo muore, Echevarria ne prende il posto. E si accorge che la SGI è stata spogliata di circa 1 miliardo di franchi - soprattutto dalle banche.

Echevarria procede per vie legali. Per esempio contro la BSI Banca della Svizzera Italiana, che a suo vedere avrebbe fatto sparire sedici milioni e mezzo di dollari della Santa Sede attraverso la Wentworth SA Lugano. A rappresentare la proprietà della SGI sono l'avvocato anglo-romano David J. Titman e lo studio legale Foglia di Lugano - proprio quello attualmente in lotta con la Banca del Gottardo per il caso Jermini.


Un fax clamoroso

Il 26 ottobre 2001 Titman aveva chiesto per iscritto a Jermini notizie sullo scippo della BSI. Jermini non aveva risposto secondo le attese. Alla fine di febbraio 2002, Titman scrive ancora, stavolta ad un suo collaboratore riservato: se il signor J. non collabora dovremo trovare una soluzione definitiva al problema. Il 5 marzo Jermini finisce con l'auto nel lago.

Nel luglio 2002 L'Inchiesta pubblica il fax e altri documenti, ma in Ticino la magistratura non si accorge dell'importanza di questo indizio. Tra gli inquirenti inglesi invece i documenti pubblicati da L'Inchiesta non passano inosservati.

Nel corso delle sue ricerche L'Inchiesta è entrata in possesso di numerosi documenti sulla struttura segreta amministrata da Jermini in Svizzera, a Montecarlo, a Curaçao, a Panama, in Liechtenstein, in Liberia, a Lussemburgo, in Italia - ma soprattutto in Sudamerica. «Non è un caso», racconta Carlo Calvi, il figlio del banchiere, «poiché proprio le grane vaticane in Sudamerica sono state il motivo per cui lo IOR e la Loggia Massonica P2 avevano tanta paura che mio padre testimoniasse davanti alla magistratura italiana. In quel buco nero ci sono centinaia di milioni illegali, forse miliardi». Non che dalla morte di Calvi nessuno ne avesse mai fatto parola... nel 1994 un avvocato venezuelano, tale Jaime Berti, si recò dai giudici romani dicendo di essere l'amministratore di alcune società di Calvi. Nessuno lo volle ascoltare.

Nelle carte in mano a L'Inchiesta ci sono diverse società venezuelane gestite da Jermini... insieme a Jaime Berti. Quanto alle lettere di Titman, questi è già stato interrogato dai magistrati romani che conducono l'indagine sul Caso Jermini. Anche a Londra si indaga. Per la magistratura ticinese invece il caso è chiuso. Nemmeno questi indizi così pesanti inducono i magistrati a riaprire l'indagine e scavare tra i conti bancari gestiti da Helios Jermini.

paolo.fusi@inchiesta.ch



Anche il Papa ha rubato al fisco grazie a Jermini

Il fiduciario ticinese Helios Jermini morto l'anno scorso è stato per anni custode di un terribile segreto: ha gestito milioni del Vaticano evasi al fisco.

La società che controlla il patrimonio immobiliare della Santa Sede è nata presumibilmente nella prima metà del XVI secolo, quando il Papa si rivolse al Monte dei Paschi di Siena per avere un prestito e la banca gli chiese di depositare qualcosa in garanzia. L'iscrizione al registro di commercio (peraltro un'istituzione introdotta in Italia solo nel 1850, dopo la caduta della Repubblica Romana) è però solo del 1° settembre 1862, dopo che l'Italia aveva obbligato il Vaticano a registrare tutti i suoi immobili al di fuori dello Stato della Chiesa in base allo Statuto Albertino del 1861.

Dopo la "breccia di porta Pia" e l'integrazione di Roma nella monarchia sabauda, la SGI Società Generale Immobiliare Roma diventa una presenza ingombrante per il fisco italiano, che secondo l'accordo del 1862 non può pretendere tasse dalla SGI. Il Re concede questo regalo in cambio dell'accettazione da parte del Papa della laicizzazione della scuola pubblica.

Il 22 settembre 1897 la SGI dichiara bancarotta. Il Papa ha preso crediti a man bassa da tutte le banche possibili, poi ha deciso di chiudere. Quando i "cursori", i magistrati del Tribunale Fallimentare della Roma di fine secolo, chiedono l'elenco degli azionisti della SGI, il Conte Farnese risponde loro: "Uno solo, Dio". Alla fine la Casa Reale si sobbarca i debiti e fa riaprire i battenti. Per garantire la liquidità della Santa Sede il governo comincia ad affittare a prezzi esorbitanti i terreni della SGI. Il Vaticano, divenuto ricco, comincia a sua volta ad investire. Il 3 marzo 1903 Ernesto Pacelli, cugino di Papa Pio XII, diventa presidente del Banco di Roma. Pacelli inizia a sbriciolare l'immenso patrimonio edilizio (le chiese di tutto il mondo, più la somma di tutte le donazioni fatte alla Chiesa Cattolica nel corso dei secoli) in piccole società locali, magari controllate da una società bucalettera in Africa o in America. Con i Patti Lateranensi di febbraio (e ratificati in giugno) 1929 tra il governo Mussolini ed il Papa, la Santa Sede mette a disposizione del governo fascista questa struttura off-shore per alcuni affari "privati" della leadership del Partito Fascista.

Ciò compromette a lungo andare la stabilità finanziaria della SGI. Nel giugno 1942, quando è chiaro che Mussolini usa queste società per celare rifornimenti di armi, materie prime e cibo per l'esercito italiano e tedesco, il Banco di Roma è sull'orlo del tracollo. Papa Leone XIII fonda una banca off-shore, lo IOR Istituto per le Opere Religiose, che compra la totalità delle azioni della SGI. Dopo la guerra la SGI riceve dallo Stato esattamente un quarto di tutti gli appalti per l'edilizia pubblica e quella popolare. Solo nel 1956 la SGI guadagna 30 miliardi dei dollari americani di allora - una cifra inimmaginabile al cambio di oggi. A questo punto la SGI deve esportare i soldi all'estero. Per questo viene fondata la Banca del Gottardo. La banca è controllata da una società liechtensteinese, la Lovelok Etablissement Vaduz, dietro cui c'è il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, la cui maggioranza delle azioni a sua volta appartiene allo IOR.

Nel giugno 1968 lo Stato italiano decide di togliere alla SGI il privilegio dell'esenzione fiscale. Calvi ed il Conte Massimo Spada, direttore generale del Banco di Roma e direttore generale dello IOR, decidono di spezzettare la proprietà e di venderla alla BPI Banca Privata Italiana di Michele Sindona. La vendita è solo fittizia. Lo IOR continua a controllare le migliaia di società componenti la SGI attraverso la Eurafric Fininvest Establihment di Vaduz. A questo punto Helios Jermini è già salito a bordo della nave e si cura dell'amministrazione dei quattro pilastri più importanti della struttura segreta della SGI: la Sogefinance SA di Panama, la SGI di Monrovia (Liberia), la Smetra di Montecarlo (che riceve anche commesse per la costruzione di strade e autostrade in Svizzera) e l'Atruka di Curaçao (Antille Olandesi). Con i massimi dirigenti della SGI Jermini fonda la Lagestion AG di Gamprin, la sua società fiduciaria personale.

Nell'estate del 1974 salta fuori che Sindona è legato alla mafia. Il Vaticano è costretto a sciogliersi dall'imbarazzante abbraccio. La SGI viene curata da Calvi e da Jermini, ma ufficialmente le sue azioni vengono "regalate" ad un giovane democristiano, il non ancora trentenne Arcangelo Belli. Solo che il mare di scandali non si ferma. La Loggia Massonica P2 viene scoperta, il Banco Ambrosiano crolla, Calvi viene ucciso, Belli viene seguito e registrato dai servizi segreti mentre accompagna esponenti della P2 a discutere con padrini mafiosi in carcere per le modalità di una possibile liberazione di Aldo Moro - ufficialmente rapito dalle Brigate Rosse.

La SGI deve ancora una volta mutare forma. La proprietà viene spezzettata ancora, tanto che nessuno a parte Jürg Heer ed Helios Jermini sanno dove sono le azioni, dove le proprietà, dove i conti bancari. Ancora oggi Heer risulta essere presidente di almeno una delle società segrete (e perdute) della SGI. La liquidazione di parte delle società bucalettera compiuta senza nessun controllo da parte della magistratura da una oscura fiduciaria luganese porta a far sparire (secondo fonti riservate del Vaticano) oltre 3 miliardi di dollari. Questo fino al 1988, quando Giovanni Paolo II decide di passare il controllo dell'intera struttura nelle mani dell'Opus Dei. Ora il Generale Vicario Xavier Echevarria ha promesso di fare piazza pulita.



Commento

La verità la sa solo la Banca del Gottardo

Chi ha ucciso Helios Jermini? E chi Max Moederle? E tutti gli altri, le decine di vittime più o meno illustri della piazza finanziaria ticinese del dopoguerra? Con certezza non lo sapremo mai. Questo perché la giustizia ticinese non solo non funziona, ma non vuole funzionare. Avvocati che diventano procuratori pubblici per poi diventare fiduciari se ne son visti troppi. Ed anche nel caso Jermini, l'inchiesta è stata affidata ad Emanuele Stauffer, ex collega di studio di Paolo Bernasconi - che ora nella vicenda Jermini difende gli interessi della Banca del Gottardo.

Poco importa il fatto che Stauffer sia in principio una brava persona, uno che ha scelto di fare il magistrato per passione. Il limite resta: di fronte ai grandi interrogativi, agli sporchi misteri ticinesi, Stauffer non è andato un solo centimetro oltre il suo mentore Bernasconi - già celebre per essere riuscito a passare nell'agiografia da accanito combattente del malaffare, proprio lui che in diverse vicende (Weisskredit, Texon, Overland , Zemp, Dickinson, Telecampione, Gemina Finance, Europrogramme, eccetera) ha messo in fila una serie di figure piuttosto bruttine.

La piazza finanziaria si difende sempre con gli stessi argomenti: chi protesta (o scrive) non ha il diritto di sporcare l'immagine del cantone; quanto agli accusati, questi non sono mai stati perseguiti dalla giustizia, o ne sono stati assolti - quindi sono puliti. Non importa se hanno commesso il fatto o meno. La stampa compiacente, specie quella legata alla pubblicità delle banche (quasi tutta), conferma. Oppure spara sul singolo poliziotto, sul singolo contrabbandiere, sul singolo amministratore infedele. E così facendo contribuisce attivamente a far credere che gli scandali ticinesi siano l'espressione di una criminalità rozza ed estranea alla "società civile": immigrati, stranieri, impiegati frustrati, indebitati, piccoli malavitosi.

Chi ha la forza di far morire in un anno Gianluca Boscaro, Helios Jermini, il suo collaboratore Philipp Steinegger, l'impiegato della Banca del Gottardo Gianluigi Gamba, il presidente della United European Bank Max Moederle (tutti suicidi o morti naturali, ci crediamo tutti, vero?) e di far mettere una pietra sopra alle inchieste sui loro casi non nuota nella vasca dei pesci rossi, ma in quella degli squali. È il sistema di potere ticinese, diagonale ai partiti, che fa morire. Tacerlo serve solo a prepararsi al prossimo suicidio, al prossimo scandalo insabbiato.

Chi ha ucciso Helios Jermini? Forse dei clienti italiani inviperiti, è stato detto. Perché Helios avrebbe fregato loro dei soldi - per permettere al FC Lugano di far giocare Mauro Galvâo, Gorter, Rossi, Gimenez, Zuffi e Claudio Sulser, oggi stella del firmamento bancario ticinese. Il fatto che in quegli anni la Banca del Gottardo fosse prepotentemente presente nell'amministrazione del club bianconero, e che l'ex presidente Francesco Manzoni abbia lasciato il Ticino per andare a Montecarlo a gestire l'ex filiale locale della banca, comprata da lui e da un altro manager della Gottardo, Francesco Bolgiani, non interessa a nessuno. Stauffer in proposito di domande non se ne è fatte. Ha scoperto una società di Vaduz e la sua capofila, la Sogefinance SA Panama. Poi basta. Per lui il caso è chiuso. Cosa ci sia dietro la Sogefinance non deve interessare nessuno.

Chi ha ucciso Helios Jermini? Intendo dire, dopo che era morto? L'hanno fatto passare per un criminale per giunta in crisi puberale permanente. Uno che rovina la famiglia, l'azienda, tutte le amicizie ed alla fine si uccide solo per una squadra di pallone... Tutti sono vittime di Helios: in primis la Banca del Gottardo, parrebbe. Il fatto che fino alla sua morte Jermini lavorasse per loro serve appunto a dimostrare quanto l'istituto è stato vittima. Loro gli avevano sempre creduto, gli avevano voluto bene. Anche quando gli sbolognarono un affare pericolosissimo con la mafia russa. Ed anche se magari è stata la mafia russa ad ucciderlo, che quelli non vanno tanto per il sottile, Helios Jermini è oramai entrato nell'immaginario popolare ticinese come un "cattivo".

Anche questo nuoce all'intero Ticino, perché è una bugia. Helios Jermini amministrava segretamente e fedelmente i miliardi più segreti di uno degli scandali più gravi della storia finanziaria d'Europa - una sorta di sacerdote, fedele alla consegna anche vent'anni dopo la morte del suo capo, Roberto Calvi.

Quasi tutti coloro che avevano a che fare con i miliardi della struttura Sogefinance sono morti. In vita ne rimangono pochi: il mafioso Di Carlo (in prigione a Londra), l'avvocato venezuelano Jaime Berti (scomparso dal suo indirizzo sei mesi fa), il socio di Jermini Giorgio Pelossi, il suo partner d'affari tarantino Antonio Fago (che a giugno ha preso sei anni di galera in Italia in sede definitiva). Dobbiamo attendere che muoia anche qualcuno di loro?

Jermini gestiva miliardi. Non i 60 milioni per far giocare il Lugano in Lega Nazionale A. Helios ha fatto la cresta anche sulle società di Calvi? Può darsi, io non ne ho la prova. Posso solo affermare che lui e la moglie hanno una casa in Grecia. Non i miliardi. E che la verità sulle reali condizioni finanziarie di Helios Jermini la sa solo la Banca del Gottardo - che ora si difende con virulenza per evitare che qualcuno vi si avvicini.

Paolo Fusi



Da dove sbucano i milioni del banchiere povero?

Dopo l'articolo dell'Inchiesta sulla misteriosa morte del banchiere Max Moederle, sono emersi nuovi particolari inquietanti. Lui ufficialmente è morto senza soldi. Stranamente alla vedova andrà un ingente patrimonio.

Se passando accanto al cimitero di Castagnola si sentono rumori sospetti, potrebbe essere Max Moederle che si rivolta nella tomba. Nemmeno dopo la sua tragica morte a Gola di Lago nella notte tra il 12 ed il 13 maggio 2002, l'ex direttore della Banque Paribas e della Union European Bank può trovare pace.

La Banque Paribas lo accusa di aver "truffato" ai suoi datori di lavoro circa 10 milioni di franchi e sostiene che i conti bancari di Max Moederle al momento della sua scomparsa fossero a zero. La stessa vedova alla cerimonia funebre si era lamentata del fatto di essere ricoperta di debiti.

L'Inchiesta ha scoperto che l'affermazione della donna non corrisponde a verità. La vedova nel marzo del 2003 ha comprato una villa del valore di circa 4 milioni di franchi a Cassina d'Agno. La Banque Paribas lo sa - e non ha nulla da eccepire. Secondo una fonte della Pretura di Lugano la Banque Paribas si è limitata a presentare un'istanza all'Ufficio fallimenti di Viganello. Questo a sua volta ha inventariato le proprietà di Max Moederle e di sua moglie: una lussuosa villa a Suvigliana, un palazzo a Viganello e un appartamento a St. Moritz.

La vedova ha rifiutato l'eredità, quindi conserva la metà di ciascuna proprietà e deve mettere all'asta l'altra metà. Quanto al grotto di Carì, altra proprietà della famiglia, questo era intestato alla vedova e non viene calcolato. Lo stesso avverrebbe per eventuali proprietà e conti bancari all'estero. L'Ufficio fallimenti di Viganello non ha né i mezzi né la competenza per ricercare simili proprietà.

Secondo la Banque Paribas, comunque, Max Moederle - uno dei principali dirigenti del gruppo a livello mondiale - è morto quasi da mendicante.

Uno stretto collaboratore di Moederle si rifiuta di commentare questa tesi: «È un momento troppo delicato, specie dopo le rivelazioni de L'Inchiesta di settembre». In quel numero L'Inchiesta aveva rivelato che secondo un "pentito" del Clan Izmailovo della mafia russa è stato il suo gruppo ad avere avuto interesse alla morte di Moederle. Sullo sfondo ci sarebbe stata la "guerra dell'alluminio tra clan mafiosi sovietici - molti dei quali legati alla Parisbas. Alcuni indizi facevano pensare a un omicidio. Ma la magistratura ticinese, senza alcuna indagine seria, aveva subito sposato la tesi del suicidio.

Il patrimonio immobiliare di Max Moederle andrà all'asta all'inizio del 2004. Forse. Difatti la vedova ha un diritto di prelazione. La sua offerta per l'altra metà della villa (valore reale tra i 5 ed i 7 milioni di franchi) è inferiore ai 2 milioni. Per le altre proprietà ancora non sono state presentate offerte. Potrebbe quindi accadere che la vedova nei prossimi mesi con un paio di milioni si liberi dei presunti debiti lasciati dal marito e si ritrovi proprietaria di un patrimonio immobiliare di circa 22 milioni di franchi - senza contare la villa di Cassina d'Agno.

Tutto ciò lascia lo spazio a diverse domande inquietanti: se è vero che la Banque Paribas è stata "truffata" da Max Moederle, come mai questa è così remissiva nel tentativo di recuperare i crediti? Se è vero che Max è morto nullatenente, da dove vengono i milioni nella disposizione della vedova per comprare la villa a Cassina d'Agno e per acquistare gli altri immobili? Interpellata da L'inchiesta, la vedova ha risposto che a suo nome parla solo il suo legale, l'avvocato luganese Battista Ghiggia. Questi ha fatto sapere che la vedova non vuole rispondere.



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Aggiornamento 2016

Il 5 maggio 2016 l'avvocato Claudio Pasqua a nome di Antonio Fago ha chiesto di rimuovere il presente articolo dall'archivio online. L'Inchiesta ha respinto la richiesta.

Secondo l'avvocato Pasqua, Fago non ha mai riportato condanne penali definitive. In realtà la condanna a carico di Antonio Fago è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale italiana.
http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.progressivo=0&art.idArticolo=1&art.versione=1&art.codiceRedazionale=092A1551&art.dataPubblicazioneGazzetta=1992-04-04&art.idGruppo=0&art.idSottoArticolo1=10&art.idSottoArticolo=1&art.flagTipoArticolo=1



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